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Le selezioni di ottobre - Vini delle Dolomiti

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Selezione di ottobre, curata dalla sommelier Patrizia Loiola, e dedicata ai vini delle Dolomiti (TAPPA 43)

Ecco la selezione di cantine e vini che abbiamo proposto nelle box tematiche di ottobre 2021, dedicate ai vini delle Dolomiti.

Le cantine

Crodarossa, Lentiai (BL)

La tenuta Crodarossa si trova a Colderù, una frazione di Lentiai lassù sul versante a sinistra della Valbelluna: in basso scorre il Piave, maestoso, ampio, in mezzo al greto di sassi. Il panorama è spettacolare con i vigneti che sembrano fare da sentinella al fiume Sacro.

La “croda” in dialetto è la roccia, quella rossa delle Prealpi delle Dolomiti che cede tutti i sentori caratteristici dei vini montani al prodotto di questa cantina spettacolare.

Crodarossa nasce nel 2013 dall’ispirazione di Paolo Remini, con una laurea in agraria e imprenditore del territorio il quale decide, sostenuto anche dalla moglie Martina Vergerio, di partire da subito con un progetto rivolto alla sostenibilità.

La scelta da subito è quella di prediligere vitigni resistenti per ridurre sensibilmente l’utilizzo di fitosanitari: Paolo ha due figli, è sensibile al tema dell’ecosostenibilità e sa bene quanto la salute di tutti sia fondamentale!

Dall’anno dell’apertura sono stati fatti grandi passi in avanti, e ad oggi l’azienda è certificata biologica.

I primi due ettari di vigneto sono impiantati a solaris, alcuni filari di souvigner gris: a questi si aggiunge una piccola vigna a Feltre dove vengono recuperati vigneti antichi di pavana, varietà autoctona che cresce proprio sui sassi lasciati dal Piave.

Una gamma di vini già interessante, fra cui un metodo classico, altri due spumanti molto interessanti, un bianco elegante da souvigneir gris e due vini rossi, uno da vitigni resistenti il cortis, e uno più complesso da uve merlot che andremo a scoprire! 

De Bacco, Feltre (BL)

Marco e Valentina, i fratelli De Bacco (un cognome e un destino, verrebbe da dire!) hanno cominciato il loro viaggio nella viticoltura circa dieci anni fa, lei appena diplomata e lui di poco più grande: la grinta non mancava, la passione neppure. Si erano presi una bella responsabilità nel portare avanti una viticoltura quasi estrema, in un luogo, il Feltrino, dove erano, allora, praticamente gli unici a imbottigliare e fare vino di qualità. In realtà continuavano una tradizione di famiglia, risalente addirittura alla fine dell’Ottocento con l’impianto di un vigneto tuttora presente in azienda.

Oggi che sono cresciuti e hanno accumulato esperienza, la grinta e la passione non sono venute meno, così come la voglia di migliorare sempre.

Lavorano una decina di ettari con alcuni vigneti veramente inerpicati sui fianchi Prealpi, tra i 400 e i 600 metri di altezza: vengono coltivate varietà locali come la pavana e la bianchetta, la trevigiana nera (in dialetto “gata”) e la turca rossa, oltre al teroldego e a qualche varietà internazionale.

La viticoltura è molto attenta e rispettosa del territorio, rivolta a salvaguardare le tradizioni come quella di allevare la vigna con una pergola tipica della zona detta assera, che si regge su assi incastrate tra di loro per formare un sesto di impianto del tutto particolare. Distintiva la freschezza nei vini, la facilità di beva e l’impronta territoriale.

Pian delle Vette, Feltre (BL)

Ci troviamo sulle Coste sopra Pedavena, in località Vignui, altitudine 580 metri sul livello del mare, un territorio morenico lasciato dai ghiacciai, caratterizzato da complessa mineralità nel sottosuolo. Questa è una località storicamente rivolta alla viticoltura, come documentano anche alcune mappe, i “Vignui”, (trad. i vigneti).

Pian delle Vette è il progetto di Egidio d’Incà e Walter Lira che invece di andare in pensione, come pare potessero fare, hanno deciso di rilevare questa azienda, destinata a scomparire, per farla rifiorire, in un posto incantato, alle porte del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.

La scommessa è stata quella di fare della viticoltura di qualità ad alta quota, rispettando l’ambiente circostante in condizioni non sempre facili e per questo scegliendo varietà tipiche di montagna o di alta collina: un corpo unico di 2,5 ettari attorno alla cantina con paesaggio da classica cartolina, anzi, instagrammabile come oggi usa.

I vigneti hanno circa 15 anni, dedicati sia a uve a bacca bianca come chardonnay, souvignier gris, müller thurgau, bianchetta per spumanti e bianchi fermi, che a bacca rossa, pinot nero, teroldego, gamaret (incrocio di gamay e reichensteiner) e diolinoir (incrocio di pinot nero e rouge de doilly).

I vini 

BOX ENTUSIASTA

Derù, Crodarossa

Il Derù è uno spumante brut Metodo Martinotti che ci racconta subito dell’effetto montagna dolomitica applicata al solaris – vitigno resistente – che in questo territorio si esprime veramente al meglio, soprattutto dopo un po’ di anni: il vino è delicato al naso, con sfumature di crosta di pane ma anche note di fieno, camomilla, qualcosa di tropicale e agrumato ad arricchirlo. Al sorso è vibrante, buona acidità al palato, la sapidità è ben presente, così come le aromaticità eleganti di frutta del vitigno. Potete chiudere gli occhi sorseggiandolo e vi sembrerà di essere sotto una piccola cascata dei tanti torrenti dolomitici. Nel finale delle intriganti note citriniche e di nuovo “il sasso” dolomitico. Il nome del vino proviene dal Colderù, dove si trovano le viti, a 450 metri sul livello del mare, quelle che ammirano il Piave.

Per gli abbinamenti non ci sono dubbi sull’accostamento con qualche salume tipico del territorio, una bella fetta di soppressa in compagnia di amici o un pezzo di latteria fresco Piave, tipico di queste zone, con del pane caldo, ma anche una trota alla griglia condita di erbette aromatiche degli alpeggi (nel caso il timo del giardino di casa vostra va benissimo!). Servire a 6-7° C.

Degustare ora: è al top.

 

Vanduja, De Bacco

Il nome risale a Bepi “il Vanduja” che nell’Ottocento piantò i vigneti poi passati alla famiglia De Bacco, da uve pavana in purezza (vendemmiate a mano), è un vero autoctono con una bella personalità, cresce su vigneti ghiaiosi e calcarei. La pavana era il vitigno di casa nel Feltrino: il vino che si portava in tavola, molto resistente alle malattie come la peronospora e l’oidio, era coltivata anche per queste ragioni, nell’economia di sussistenza del territorio, ormai una rarità. Viene vinificato in acciaio con una macerazione sulle bucce di 25 giorni e continui rimontaggi oltre a un leggerissimo passaggio di due mesi in barrique, giusto per smorzare il carattere di montagna: ci restituisce un naso fruttato di piccole amarene, ben definito e invitante, con note di tabacco fresco e tratti vinosi. Succoso in bocca, ha un sorso scalpitante, il tannino leggerissimo, con una bella vena acido-sapida che allunga il finale.  

Vino di ottima godibilità e piacevolezza che i fratelli De Bacco propongono abbinato a una meravigliosa soppressa, che da queste parti è più piccola di quella trevigiana, ma dall’alto valore gustativo, o addirittura con il salame al Vanduja, nato da una collaborazione con un salumiere della zona: oltre i salumi non disdegnerei l’abbinamento con una bella pasta e fagioli o un risotto con la salsiccia!

Degustare ora, o entro un paio d’anni.

 

Sacolet, Pian delle vette

Dal teroldego dell’annata 2015, che ha affinato 24 mesi di tonneau, con piccole percentuali di gamaret e diolinoir, unite a un 10% della base spumante del Metodo Classico, non totalmente fermentata (pinot nero e chardonnay). Solo lieviti indigeni e senza zuccheri aggiunti.

Un tempo la legatura delle viti avveniva con l’utilizzo dei “sacolet”, i sottili rami del salice selvatico che, una volta attorcigliati e legati con un particolare nodo, garantivano di tenere saldi i tralci ai fili di ferro che componevano il vigneto: a loro è dedicato questo vino dall’impronta contadina, rustica, da tavola genuina.

Un vino brioso, vivace, che al primo impatto mi ha ricordato le more mature che raccoglievo da ragazzina in campagna dal nonno, ma anche i gerani nei vasi della nonna; in bocca la trama è fitta, è succoso, regala sensazioni di frutta matura e un grip di assaggio diretto; l’acidità scorre molto piacevolmente, la tannicità è assorbita nel frutto. 

Sicuramente predisposto per i salumi, per un cotechino ma – perché no? – anche per una robiola di quelle serie, o un crostino con paté rustici, oppure così, da solo, per stare in compagnia quel che c’è, magari due fave fritte o due pop corn salati! Servire a 8° C.

Degustare ora: è al top.

 

BOX ESPERTO

Roro, De Bacco

Questo vino è emblematico per tanti motivi e forse più di tutti rappresenta il coraggio dei fratelli De Bacco: uve teroldego in purezza (che già è una sfida), lasciato in pianta fino a completa maturazione, per avere un po’ più di dolcezza a scapito della quantità. È l’ultima vendemmia di casa, pochissime le bottiglie prodotte, affinamento in barrique di rovere poco tostate per un anno. Tutto questo impegno ci regala un vino asciutto al sorso, una trama tannica leggera, in un vino però di personalità, dalla dinamica gustativa piacevole e succosa. I profumi? La speziatura dolce e la frutta rossa, che si percepiscono nettamente, e che poi ritornano all’assaggio. Su tutto una sensazione di viola e di incenso molto particolare. 

Un vino giocoso, per diverse occasioni, originale negli abbinamenti: potrebbe essere un arrosto di maiale cotto con le prugne, ma anche una zuppa di castagne o di porcini, oppure della polenta di mais sponcio tipica del bellunese con l’agnello dell’Alpago, splendido Presidio Slowfood. Servire a 16-18° C.

Degustare ora, o entro cinque anni.

L’ombra del falco, Crodarossa

Sicuramente il vino più complesso di Crodarossa L’ombra del falco Vigneti delle Dolomiti, un merlot in purezza da uve surmature che affina dodici mesi in tonneau e gira su registri sensoriali morbidi, accattivanti, struttura dinamica grazie all’altitudine di impianto. Lasciatelo aprire nel calice, senza aver fretta, e lo sentirete scivolare in bocca quasi setoso: i frutti di bosco, su tutti il mirtillo (che qui si raccolgono veramente nel bosco) e una leggera nuance di vaniglia.  Un attacco di bocca sapido, per poi trovare tutto il frutto, accompagnato da una bella freschezza. Il palato è ampio, armonioso, anche se conserva la verve della montagna.

Con il Merlot non c’è che da sbizzarrirsi negli abbinamenti! Per esempio un gran piatto di bollito misto con il cren, la salsa di rafano – che da queste parti non manca mai – e purea di patate di montagna oppure dei tagliolini fatti in casa con il ragù cotto lentamente. Servire a 16-18° C.

Degustare ora, o entro cinque anni.

Granpasso, Pian Delle Vette

Memorie di ciliegia sotto spirito, un leggero balsamico che stimola la riflessione enologica, uno sbuffo di profumi di fiori secchi in questo importante rosso da uve teroldego in purezza di classici 13 gradi. Al sorso si percepisce concentrazione di struttura, tensione verticale di un’acidità viva ma bilanciata dai due anni in botte di rovere francese. Un vino dinamico dalle sensazioni pepate ma che donano freschezza, un finale fruttato che riporta all’olfatto iniziale, note dolci nel finale alternato al balsamico questa volta come sensazioni di canfora… Insomma, c’è tanto da ritrovare e da raccontare in questo vino. 

Gli abbinamenti sono sicuramente legati alle carni, soprattutto la selvaggina, i piatti tipici della cucina di montagna accompagnati dalla polenta; ovviamente non possono mancare dei formaggi di alpeggio come un Monteveronese o un Asiago Stravecchio, ambedue Presidi Slowfood. Servire a 16-18° C.

Degustare ora, o entro cinque anni. 

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