Se ne parla sempre di più: i vitigni “resistenti” Piwi regalano vini di altissima qualità e sono di grande interesse anche in relazione alla sostenibilità ambientale. Ma cosa sono esattamente? Quando sono nati e come vengono utilizzati? Quali i più importanti, quelli che davvero non si possono non conoscere? Ecco cosa c’è da sapere sui vitigni resistenti, in cinque semplici punti.
I vitigni resistenti Piwi sono ancora rari, anche se negli ultimi anni il loro impiego sta aumentando esponenzialmente e oggi si può individuare una tendenza. In cinque semplici punti vediamo cosa sono e quanto c’è da sapere.
1. Cosa sono i vitigni resistenti Piwi?
Piwi è un acronimo derivante dal tedesco pilzwiderstandfähig che significa “viti resistenti ai funghi”. I vitigni Piwi (anche chiamati “ibridi” o “super bio”) sono incroci di specie diverse di vite (viti europee e viti americane o asiatiche) e si coltivano con l’obiettivo di ridurre al massimo l’uso dei trattamenti fitosanitari in vigna, fino a eliminarli completamente. Inoltre, consentono di coltivare produrre vino a latitudini e altitudini in genere impensabili per gli altri vitigni.
L'aspetto della riduzione drastica (o totale) dei trattamenti non va sottovalutata: coltivare viti resistenti significa anche ridurre l'impatto ambientale della viticoltura, sotto almeno due aspetti pratici: meno prodotti chimici e meno passaggi con le macchine in vigna.
Una curiosità: i PIWI tendono ad avere la buccia più spessa.
2. Quando sono nati i Piwi?
I Piwi sono stati sviluppati dalla seconda metà dell’Ottocento, inizialmente in Francia, con uno scopo ben preciso: si innestavano alcune varietà di viti europee con varietà americane per testare la resistenza della vite alle crittogame (varietà fungine) e alla fillossera che, in quel periodo, stava uccidendo la maggior parte dei vigneti in Europa. Da qui, la creazione di nuovi vitigni i cui utilizzo ha come conseguenza anche il perseguimento di pratiche agricole più sostenibili.
3. Come vengono utilizzati i vitigni resistenti Piwi?
Un viticoltore che decide di impiantare varietà di viti Piwi vuole produrre ottimi vini limitando al massimo l’uso di sostanze chimiche e interventi fitosanitari, che possono arrivare a essere pari a zero. Questa scelta, naturalmente, non comporta la totale risoluzione dei problemi della vite perché alcune varietà fungine possono danneggiare anche i vitigni resistenti. Comunque, ad oggi, per una maggiore sostenibilità ambientale e per limitare decisamente l’impatto della viticoltura, utilizzare i vitigni Piwi è un’ottima soluzione.
Rispetto alle uve convenzionali, le varietà PIWI sono più resistenti anche se non sono del tutto invincibili. Consentono tuttavia minori trattamenti. Dal punto di vista enologico, invece, il vino non mostra differenze percettibili.
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4. Dove sono più diffuse le varietà resistenti Piwi?
Oggi, i Piwi sono maggiormente adottati in Germania, specialmente nelle zone del Reno, Mosella, Baden e della Sassonia, seguita da Austria e Svizzera. In Francia sono sviluppati nella zona di Bordeaux, Languedoc & Roussillon. Inoltre, negli ultimi anni sono diventati di tendenza in Polonia e in Danimarca.
In Italia si trovano soprattutto in Veneto, Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia. Nel Bel Paese ci sono 5 associazioni PIWI: Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Piemonte).
5. Quali sono i principali vitigni resistenti Piwi?
I principali vitigni resistenti europei sono: Bronner, Cabernet Blanc, Cabernet Cortis, Julius, Ravat Blanc, Johanniter, Gamaret, Prior, Leger e Solaris.
ll Solaris è forse il Piwi più noto in Italia: è un vitigno resistente ottenuto nel 1975 in Germania presso l’eccellente Istituto di Enologia di Friburgo. La sua straordinaria resistenza alle malattie fungine consente di annullare i trattamenti chimici ed è garanzia della salubrità e della qualità del vino.
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