Abbiamo avuto il piacere di intervistare Davide Sordi, Area Manager Nord Ovest e Sardegna dei Vivai Cooperativi Rauscedo, che ci ha raccontato cos’è una barbatella. E molte altre cose.
Ecco l'intervista a Davide Sordi!
Che cosa fanno i Vivai Cooperativi Rauscedo e di cosa ti occupi tu nel dettaglio?
Vivai Cooperativi Rauscedo è una cooperativa nata nel 1933: si occupa di produzione di barbatelle esclusivamente di vite innestate. Io sono l'area manager del Nord Ovest e della Sardegna e mi occupo di gestione delle vendite tramite una rete di circa quindici agenti e altrettanti rivenditori su territorio, e fornisco assistenza tecnica pre e post impianto.
Questo della vigna in generale, e delle barbatelle più nello specifico, è un mondo affascinante e al tempo stesso non molto noto agli appassionati, che magari conoscono la storia della fillossera ma difficilmente hanno coscienza del reale impatto che il mondo agronomico ha sul vino che si ritrovano nel bicchiere.
Quando la fillossera è arrivata in Europa in pochi anni ha creato una vera e propria distruzione di del nostro patrimonio genetico a livello agrario. Vi faccio un piccolo esempio, con qualche numero: il Piemonte che oggi conosciamo è vitato più o meno ovunque, dal Monferrato alle Langhe - si parla di 43 mila ettari circa; pre fillossera c’erano circa 120 mila ettari vitati.
Sicuramente ci sono stati anche altri problemi, ma questo calo significativo è dovuto in gran parte al parassita che una volta arrivato in Europa ha trovato una specie di vitis vinifera che non godeva di alcuna protezione e attaccando i vigneto faceva sì che si creassero delle nodosità e delle strozzature e nodosità nelle radici che portavano alla morte della pianta. Questo calo nel vigneto ha impattato molto il mondo del vino.
Come è stata sconfitta la fillossera?
I botanici sapevano che questo insetto era arrivato da un posto dove c’erano altre specie di vitis, specie che per loro natura erano resistenti all’attacco dei parassiti, e quindi hanno avuto l’intuizione di incrociare le piante nostrane con quelle americane per poter associare le caratteristiche fra loro e ottenere un esemplare più forte. L’incrocio si è fatto tramite l’uso di innesti e portainnesti.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è anche nata una contrapposizione sull’utilizzo di questa tecnologia, contrapposizione che ha visto da un lato il progresso scientifico e dall’altra i dubbiosi, perplessi per via del carattere totalmente innovativo della soluzione.
E dopo che i botanici hanno avuto questa intuizione cosa è successo?
A quel punto si è cominciato a utilizzare l'innesto. Si tratta di un’operazione con cui si fa concrescere sopra una pianta (detta portainnesto) un’altra vite, di tipo diverso. Oggi i portainnesti più utilizzati sono una ventina, ma nel corso del tempo ne sono stati testati almeno un centinaio.
Questo strumento è diventato fondamentale, anche perché ha consentito di coltivare anche in territori con caratteristiche molto difficili (ad esempio terreni con elevato calcare, alta salinità o altro) e nel tempo è diventato sia un modulatore degli effetti del terreno, sia un metodo per mitigare l'impatto ambientale, in chiave ecologica.
E i Vivai Cooperativi Rauscedo si occupano proprio di questo. Ci spieghi cos’è una barbatella?
La barbatella è una talea della vite, quando ha emesso le radici. Si tratta di un pezzo di legno formato da due segmenti: il portainnesto con le radici, e la marza dall’altra parte, che contiene di solito due o tre gemme. Viene fatto un innesto (un taglio in un punto preciso) e poi con una serie di pratiche si consente all’innesto stesso di saldarsi e alla barbatella di radicare. In vivaio, le barbatelle vengono piantate e trattate fino al momento della vendita.
Ci racconti come funziona la vostra filiera?
Parto da un dato: ogni anno la nostra azienda produce 80 milioni di barbatelle: il 55% in Italia, tramite una rete vendita capillare, il restante 45% nel resto del mondo. Vendiamo infatti sia in Italia sia all'estero: in primis Spagna e Francia, ma anche Portogallo, paesi dell’est, Argentina e Brasile.
La filiera è tutta interna al paese di Rauscedo: la nostra è una cooperativa formata da 210 soci con uno statuto molto preciso: per poter rientrare nella cooperativa bisogna essere di Rauscedo o essersi sposati con qualcuno di Rauscedo, nonché produrre interamente sul territorio del comune. Ci occupiamo di tutto: dalla creazione delle barbatelle alla loro commercializzazione.
Per capire il tema delle barbatelle come facilitatori della viticoltura anche in climi complessi: il loro utilizzo gioca un ruolo sul contenimento degli effetti del cambiamento climatico e contro la proliferazione degli agenti patogeni?
Lo sviluppo sostenibile è uno dei filoni di ricerca in cui investiamo di più: tutte le nostre attività si adattano in base alle necessità del momento. Oggi, adottare delle strategie nei confronti del cambiamento climatico è più che necessario e studiamo costantemente nuove strategie a partire dal materiale genetico che abbiamo a disposizione per dare vita a ibridazioni sempre più performanti in viticoltura, come per esempio la creazione di biotipi più resistenti alla siccità.
Un esempio su un bene preziosissimo come l’acqua: ricerchiamo nuovi incroci che danno vita a biotipi meno esigenti in termini di risorse ma comunque allineati ai parametri dell’enologia in termini di resa e qualità.
Vengono in mente i PIWI, esito di ricerca proprio con l’obiettivo di creare vitigni più forti: può essere questa pratica una risposta alle esigenze di sostenibilità della viticoltura odierna, attenta agli sprechi e alla necessitò di limitare l’uso di prodotti chimici in vigna. Quella dei PIWI è una ricerca che portate avanti?
Abbiamo iniziato nel 2006 con una collaborazione con l'Istituto di Genomica Applicata, uno spin-off dell’Università di Udine, che dal 1998 ha ripreso degli studi cominciati negli anni ‘70 dalla scuola tedesca. L’obiettivo è studiare la biologia per avere una vigna resistente e quindi competitiva anche dal punto di vista ambientale.
Noi ci siamo aggregati finanziando in parte il progetto, fornendo spazi, supporto, know how e professionalità per portare avanti questa ricerca. Necessariamente, gli studi sono lunghi e complessi a causa delle limitazioni biologiche della vite, che – ricordiamolo – fruttifica una sola volta all’anno. Inoltre, dal 2015 abbiamo cominciato un nostro percorso di studio sulle ibridazioni di varietà resistenti partendo da vitigni europei e questo in futuro ci porterà ad avere una buona gamma di varietà.
Interessante è notare come le ibridazioni siano un’arma vincente in materie di ecosostenibilità, non solo perché richiedono trattamenti diversi, ma perché consentono di ridurre lo spreco di materia prima con interventi meno invasivi e meno frequenti.
Un esempio? Basti pensare che per effettuare un trattamento fitosanitario occorre impiegare dai 300 ai 1000 litri di acqua per ettaro, sparsi nelle vigne da macchinari che consumano carburante.
Ci sono dei limiti?
Il limite principale per lo sviluppo di queste varietà sono gli aspetti burocratici.
Le piante PIWI hanno hanno una componente genetica diversa dalla vitis vinifera per un range che va dal 2 al 7%, quindi per il registro nazionale delle varietà italiano non possono essere inserite nelle DOC. Ogni regione ha una legislazione a sè per quanto riguarda la classificazione di queste viti: per esempio il Veneto è una delle regioni più aperte. Anche i Francesi sono molto all’avanguardia, dopo avere avviato la coltivazione delle quattro varietà resistenti autoctone, le hanno iscritte immediatamente al registro come vitis vinifera.
E negli Stati Uniti?
In America non ci sono le stesse limitazioni europee dal punto di vista dei disciplinari, ma in compenso Oltreoceano hanno una barriera fitosanitaria molto rigida che non permette l’introduzione di nuove varietà se non dopo stretto controllo da parte delle università locali.
Una considerazione viene in mente: ci hai parlato di questo piccolo paese del Friuli dove c’è stata una forte spinta innovativa. L’idea di associarsi di fare ricerca e vendere in tutto il mondo con una filiera molto corta molto denota un germe di innovazione forte: a cosa è dovuto?
Vivai Cooperativi Rauscedo nasce negli anni ‘30, ma già dei primi anni ‘70 comincia a sperimentare da vari punti di vista: la fortuna è stata che i soci fin da subito hanno voluto selezionare professionisti lungimiranti e proiettati verso il futuro. La chiave vincente è stata la collaborazione continua con le università: da un lato lo studio accademico e dall’altra il know how hanno fatto sì che i risultati venissero raggiunti e ci abbiano portato dove siamo oggi.