Vivo in questo podere da sempre: ci sono nato, letteralmente, perché il 19 dicembre 1968 ci fu una nevicata tale che impedì a mia madre di essere portata all’ospedale.
La storia della cantina parte da una tradizione di famiglia. Con la conduzione di mio padre, come si usava negli anni sessanta, si vinificava per la casa, vendendo la restante parte delle uve, prodotte nei 2 ettari e mezzo di proprietà.
Sin da quando ero bambino partecipavo alla vita dei campi, andando ad aiutare in vigna, fra trattori e vendemmie… Più tardi, ho deciso di allontanarmi e fare altro: ho studiato design e iniziato a disegnare mobili per un’industria locale. Ma il legame con la mia terra era viscerale e alla fine degli anni ‘90 ne ho sentito il richiamo fortissimo. La vigna aveva bisogno di essere reimpiantata e vi ho fatto ritorno, avviando una profonda modernizzazione della produzione.
Per vari anni, fino al 2011, ho venduto le uve perché avevo in testa un vino che rispecchiasse il mio ideale di qualità e per raggiungerlo serviva tempo. Ho atteso 10 anni per vinificare in prima persona: da allora seguiamo ogni fase, anche grazie a un’enologa e agronoma molto brava, Mery Ferrara, con la quale ci siamo capiti al volo.
Sono convinto che il vino rispecchi chi lo fa. I nostri terreni esprimono vini sottili, eleganti e molto profumati; a questo aggiungiamo l’uso di botti piccole, prodotte in Borgogna, senza tostatura e chiuse a vapore. In questo modo garantiamo l’eleganza, esaltando al massimo i caratteri varietali del sangiovese.
Il nome della cantina? Il mio cognome, Barbi, non si poteva utilizzare. Un giorno ho acquistato un dizionario del dialetto di Montepulciano e della Val d’Orcia – la mia famiglia è originaria di Pienza – e scoperto che il termine “barbicaia” indica il gruppo di radici della vite che affiorano dal terreno. E mi è parso che tutto tutto tornasse, significato e filosofia.
Marco Barbi